“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali“. (c.d. uguaglianza formale:matrice liberale della democrazia – ndr)
“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese“. (c.d. uguaglianza sostanziale: matrice sociale della democrazia – ndr)
L’articolo in oggetto scolpisce il principio di uguaglianza, il quale non va inteso come uguaglianza di punti d’arrivo: compito dello Stato è mettere tutti nelle stesse condizioni di partenza, di modo che la disparità di trattamento sia consentita solo quando le differenze sono avallate o stabilite dal legislatore in modo ragionevole (c.d. “principio di ragionevolezza”), specularmente tutte le limitazioni che la libertà del singolo subisce e che non sono ragionevoli, sono illegittime.
Cosa si intende esattamente per ragionevole? La parola, chiara da un punto di vista semantico, si presta nella pratica a forse troppe interpretazioni rischiando di perdere il significato per cui è stata usata. Non va dimenticato anche il fatto che quando si parla di ragionevolezza, in merito ai trattamenti che lo Stato o un soggetto che della sovranità statale partecipa, opera nei confronti di un altro soggetto ad esso subordinato, si sta trattando anche di gerarchie, le quali sempre al principio di ragionevolezza debbono conformarsi. Il metro di riferimento logico per capire esattamente cosa stia a significare questa “ragionevolezza” risiede nell’affermazione che situazioni uguali devono essere trattate in modo uguale e situazioni differenti devono essere trattate in modo ragionevolmente differente. È esattamente questo “ragionevolmente” che si presta a giudizi discrezionali o politici. Dunque le disparità di trattamento non hanno fondamento e non hanno ragione di essere quando sono ingiustificate, arbitrarie, irragionevoli: se ad esempio un cittadino, qualificato pericoloso in seguito a ripetuti episodi di risse, non viene fatto accedere ad una manifestazione sportiva, questa decisione lede sicuramente la sua libertà, di rimando però tale limitazione appare ai più giustificata perché -quantomeno- di tutela per tutti gli altri soggetti che a quella manifestazione partecipano; altra situazione sarebbe, non fare entrare qualcuno allo stadio giudicandolo pericoloso in quanto -estremizziamo- di religione animista, cosa che ha una motivazione solida, ma concretizza una scelta arbitraria che non posa su basi scientifiche, dimostrabili o comprovate da fatti e quindi, anche a prima vista, irragionevole. Quando si opera una discriminazione, di qualunque tipo, questa deve necessariamente essere argomentata, supportata da dati normativi o tecnici o scientifici: quando una libertà viene limitata il cittadino ha diritto di conoscerne ragioni e motivazioni le quali non possono essere lesive di diritti, libertà e prerogative primarie.
Trasportando questo principio in un altro alveo: qualora l’Ordinamento Sportivo sanzioni qualcuno, perché ha violato una determinata norma, la sanzione deve essere tale da non andare a toccare questo “nocciolo duro” di prerogative libertarie che la Costituzione Italiana pone a salvaguardia dei consociati e ciò è frutto di una scelta ben consapevole. Ci sono infatti diverse possibilità che lo Stato ha per connotare il proprio modo di essere e la propria azione: il nostro Stato, post costituzionale di forma repubblicana, ha adottato una forma di Stato Sociale in cui i poteri pubblici intervengono tanto a livello economico, quanto a livello sociale, per assicurare in concreto pari opportunità a ciascun consociato, poi, se un soggetto è più capace o più bravo andrà, auspicabilmente, avanti per conto suo.
Sussistono notevoli differenze tra l’aspetto ideologico e i riscontri del quotidiano, anche perchè il Diritto non assicura Giustizia (obiettivo altissimo e giustamente perseguito a livello ideologico), offre piuttosto a colui che lo invoca e ne fa uso, una opportunità di giustizia (aspetto concreto quotidiano). Questa forbice, questa relazione a distanza tra ideologia e situazione di fatto (aspettativa giuridica/realtà giuridica), è attenuata da quel garantismo e da quelle riserve di tutela che coprono situazioni fondamentali del cittadino e fanno capo alle libertà fondamentali dell’individuo. Appare basilare allora capire che esistono delle situazioni che lo Stato ha esso stesso decretato e designato come intangibili, inscalfibili, irrinunciabili: tutta una serie di situazioni soggettive che costituiscono un tempio inviolabile e tutelato nei confronti di chiunque e che lo Stato ha deciso essere sempre e comunque assoggettate alla propria esclusiva tutela in quanto ritiene se stesso e solamente se stesso in grado di assicurare, a riguardo, parità, giustizia ed omogeneità tanto di gestione, quanto di valutazione ed intervento (ad es. la Sanità o l’Educazione Scolastica).
E’ proprio nell’articolo 3 che si rintraccia questa volontà statuale. Questo articolo risulta essere una norma sia cardine che programmatica la quale, a seconda del contesto in cui viene calata, colora ed informa di sé quel contesto rendendo possibile il ripristinarsi di quelle condizioni di parità che si presumono violate ed azzerando di conseguenza qualunque tipo di discriminazione o, se discriminazione c’è stata, riportando le cose al giusto regime paritario, attuando una spinta dell’intero Ordinamento in senso egualitario.
Avv. Marco Bisconti – Foro di Bologna – avvbisconti@gmail.com