Suzanne

I giovani di oggi che approcciano il mondo del tennis probabilmente non ne hanno mai sentito parlare e a volte anche qualche vecchio tennista. Io stessa non ne sapevo più di tanto, di lei avevo in mente immagini e foto sbiadite dal tempo. Eppure, da malata grave di tennis, appena ho iniziato a leggere di lei ho subito sentito un certo trasporto,  un velo,  il fascino del tennis e il tennis stesso pervadermi di lei. Gli appassionati di tennis avranno capito che sto parlando di Suzanne Lenglen, “iniziatrice” ed essenza stessa del tennis di tutti i tempi, di quel gioco in cui, con la scusa di una pallina si vola con le gambe e col cuore. E Suzanne Lenglen infatti volava davvero! Tutte le foto la ritraggono sollevata mezzo metro da terra.

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Suzanne, nata a Parigi nel 1899, ebbe in dono dal padre la sua prima racchetta ancora bambina, quando abitava nelle campagne della Piccardia, in Francia, e precisamente a Compèigne, con i suoi genitori e il fantasma di un fratellino morto per problemi di salute. Deliziosa come una primula e vivace come un grillo, Suzanne era una bambina scatenata, sebbene cagionevole di salute. Il padre Charles per rinforzarla fisicamente e per canalizzare le sue molte energie decise di istradarla al tennis. Suzanne si entusiasmò subito al gioco di racchetta, e nonostante ad allenarla fosse il padre che palleggiava con lei in tweed, fu capace di sfruttare la velocità di mano e mentale acquisita col “diabolo”, un gioco in voga all’epoca, e la coordinazione appresa con la danza per progredire. I risultati arrivarono incredibilmente presto, tanto che suo padre Charles la iscrisse ai tornei e ai Garden Party vicino a Parigi, dove Suzanne cominciò a scambiare colpi con professionisti del tennis e a mietere successi. Il tennis di Suzanne risultò a tutti esorbitante ed entusiasmante. Non batteva, stracciava gli avversari. A Chantilly, conquistò la finale contro una campionessa come Marguerite Broquedis perdendo in un match lottatissimo in tre set nel quale papà Charles le prodigava zollette di zucchero intinte nel cognac per sopperire alla sua debolezza fisica. Poco più tardi, a Saint-Cloud, nel giorno del suo quindicesimo compleanno, vinse su Germaine Golding quelli che “pomposamente” venivano chiamati i Campionati del Mondo su terra battuta antenati dell’attuale Roland Garros, conquistando definitivamente il mondo del tennis con il suo gioco e il fascino che già emanava dai suoi appena quindici anni.

Charles Lenglen, provetto ciclista ed esperto comunque di tutt’altro, aveva molta visione di gioco, e cercò, anche ragionando con esperti di tennis, di studiare sistemi, tecniche e schemi per far progredire la giovane Suzanne. Nel frattempo i Lenglen, che da sempre svernavano in Costa Azzurra, a Nizza, vi si trasferirono definitivamente.  Avevano trovato una casa in Place Mozart, proprio affacciata sui campi da tennis in sabbia all’interno della piazza stessa. Su quei campi Suzanne passava letteralmente le sue giornate colpendo palle, con la passione e la tenacia che la distinguevano. Il padre aveva provveduto a trovarle dei maestri italiani, come Joseph Negro, venuti in Costa Azzurra ad allenare principi e nobili in vacanza o giocatori professionisti, per farla allenare. Grazie anche al loro contributo il suo gioco diventò sempre più aggressivo, veloce e potente. Così mentre la prima guerra mondiale aveva immobilizzato il tennis dei tornei internazionali, la giovane Suzanne costruiva il suo futuro. Entrato ormai in pieno nel mondo del tennis, e attraverso i vari discorsi Charles Lenglen aveva capito che il bravo tennista doveva possedere  50% velocità, 45% cervello 5% braccio. Organizzava a Suzanne allenamenti con gli uomini, perché “giocavano un tennis più aggressivo e pesante di quello femminile” e sempre per lo stesso motivo insegnò a Suzanne a servire dall’alto, abbinando a ciò, cosa insolita all’epoca, molta preparazione atletica. Si dice infatti che Suzanne  facesse le scale di casa di corsa non meno di quindici volte su e giù e che si allenasse d’estate e d’inverno davanti alla finestra aperta per rinforzarsi fisicamente. Presto arrivarono i primi successi sulla Costa. A Cannes, ma anche in Liguria, a Bordighera. Dopo una partita a Cannes in cui Suzanne aveva perso il secondo set ed era stremata, il padre le indicò l’avversaria anch’essa a pezzi e Suzanne capì “Allora non è il buon tennis, ma il coraggio che vince”. Charles sapeva che l’importante è vincere.  “E’ l’unica cosa” diceva. La giovane tennista d’altronde si dimostrò da subito una garanzia per gli organizzatori degli eventi, infatti attirava sempre molto pubblico grazie al suo entusiasmo, alla sua grazia e ai suoi schemi vincenti.

 

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Suzanne conquistò sei titoli ai campionati di Francia, anche se in realtà non giocò mai nell’impianto in cui oggi si gioca il Roland Garros, nel quale a lei è dedicato il secondo campo. Particolare e più intimo fu però il suo rapporto con Wimbledon, indissolubilmente legato al suo destino e sulla cui erba riuscì a esprimere al meglio il suo tennis. Tutto cominciò nel 1919 quando, con lo stupore di tutto il mondo del tennis, ventenne sconfisse Dorothea Douglass Chambers, campionessa a Wimbledon imbattuta da 7 anni. Il Telegraph commentò il match come “il più grande Challenge Round nel singolare femminile mai visto”. Immediato fu il rapporto di Suzanne con l’erba. Su suggerimento di papà Lenglen cominciò a tagliare le traiettorie, giocare d’anticipo e si mise a giocare coi piedi dentro al campo. Wimbledon  diventò il suo giardino.  Suzanne scioccò uomini e donne, regina compresa, presentandosi a Wimbledon senza corsetto, con un vestitino bianco molto scollato con la gonna che arrivava appena sopra il ginocchio e gli avambracci nudi, sorseggiando del brandy tra un set e l’altro. Nonostante la sua indole più fantasiosa e ribelle e forse proprio per questo, conquistò Wimbledon, gli inglesi la amarono come se inglese lo fosse davvero ed ebbe sempre un buon rapporto con i Reali .

Attirava orde di pubblico a vederla e decretò addirittura il predominio del tennis femminile sul maschile, i giornali infatti parlarono, fin dalla sua prima apparizione prevalentemente di tennis femminile dedicando al maschile di Borotra non più di qualche trafiletto. Dal 1919 fino al 1925 Suzanne vinse ogni anno a Wimbledon, ad eccezione di quello del 1924 perché malata, sia in singolo che in doppio. Nel 1926 ci fu però un disguido con gli organizzatori del torneo di Wimbledon, un malinteso sull’orario di gioco. Gli organizzatori pretendevano che Suzanne giocasse le due partite di doppio con Diddie Vlasto e di singolo lo stesso giorno e di seguito. Suzanne, che negli anni era diventata una diva,  fuori come dentro al campo, si rifiutò e, indispettita fece sapere che non avrebbe giocato né all’orario impostole né i due match lo stesso giorno e consecutivi.  Il messaggio per vari motivi non pervenne agli organizzatori, o forse lo ignorarono deliberatamente.  In ogni caso la regina Mary, ignara di tutto, attese sul palco per diverso tempo, mentre la Lenglen, sconvolta, aveva una crisi di nervi negli spogliatoi. La stampa le diede addosso e le testate gonfiarono addirittura l’episodio, aggiungendo particolari di dubbie fonti. La Regina, dopo tutto quel pandemonio, non potè sorvolare sull’accaduto. Da questo episodio i rapporti fra la star del tennis e l’Inghilterra si guastarono. La regina le fece sapere che non era più gradita. Nessuno considerò la sua popolarità e i soldi che Suzanne negli anni aveva fatto guadagnare a Wimbledon. Il 4 luglio 1938, Suzanne morì proprio nei giorni in cui si disputava Wimbledon

 

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SUZANNE : FRANCESE O CITTADINA DEL MONDO?

Francese era nel fascino e nel portamento, nell’essere diva. Fu la prima a vestire come una prima donna del cinema. Nonostante rispettasse l’uso del  bianco in campo, usava mettere in capo sciarpe di seta colorate e indossare pellicce lunghe fino ai piedi. Arrivava in campo dal suo mondo di favola salutando, come una star, il pubblico seduto nelle prime file. Propose all’amico e stilista Jean Patou di produrre abbigliamento per il tennis prima ancora dell’ “appannaggio” di Lacoste, collega e amico della “Divina”. Francese quindi nella forma e nella sostanza le furono tuttavia creati dei problemi dalla Federazione Francese quando decise di passare al professionismo. Dopo aver chiuso con Wimbledon, nonostante la brutta esperienza in America del 1921 con l’unica sconfitta della sua carriera contro Molla Mallory, decise di partire per l’America ugualmente e di passare al professionismo. Disputò oltreoceano una serie di incontri con Mary K. Brown per la cifra da capogiro per l’epoca di 75.000 Dollari. La Francia l’avrebbe voluta  solo per sé. A Suzanne invece stavano strette Nizza, la Francia, era annoiata dalla normalità. Si sentiva più una cittadina del mondo, lei, davanti a cui tutte le porte si aprivano. Appena gli impegni glielo consentivano partiva, principalmente in Europa, coi suoi amori del momento, o con le sue amiche di sempre.

 

GLI AMORI

Gli amori furono molti e sempre appassionati anche se Suzanne era fondamentalmente innamorata della vita. Amava le feste, il teatro, amava essere guardata, dare scandalo. Amava gli uomini e a suo modo anche le donne con le quali aveva sempre rapporti privilegiati. Ma sopra a tutto amava il tennis di un amore totalizzante e ossessivo. Nonostante il suo tennis fosse già perfetto cercava sempre il colpo in più, un’ ulteriore perfezione tecnica o uno schema mai pensato prima, con cui sorprendere gli avversari. Al suo fianco Antoine (Cocò) Gentien , “l’amico migliore, il più squisito che esista sulla terra” e vincitore di molti 1650118Roland Garros;  Alain Gerbault , sognatore, appassionato pilota e navigatore, che raggiunse New York attraversando l’Atlantico in barca a vela col suo Fire Crest e che scrisse “Seul à travers l’Atlantide”;  Pierre Albarran, urologo di fama e tennista per passione, anche grazie a Suzanne. Edouardo Flaquer,  tennista spagnolo nel 1923 inseparabile da Suzanne tanto da guadagnarle il nomignolo di Hispano-Suzanne come un’auto prodotta dai Lacoste. Fra i suoi amori  un imprenditore milanese, Placido Gaslini, che la chiamava “mon petit arabe” a causa del turbante che spesso indossava, e la portò a giocare al Tennis Milano, da Bonacossa.  Quando Suzanne appariva al fianco del suo Placido a Villa d’Este, piuttosto che al Tennis Roma, per delle esibizioni, si vedevano arrivare fiumane di gente che si litigavano i biglietti. Poi ci fu Jackson Baldwin, detto Shaky, miliardario californiano sposato e con una moglie gelosissima che a un certo punto, sembrava, avesse mollato per Suzanne e per cui gli furono tagliate dal padre tutte le rendite. Il loro amore, durò sei anni, ma non sopravvisse alla povertà. Negli ultimi anni al fianco di Suzanne ci fu il vecchio ammiratore conosciuto durante la prima trasferta in America, Maurice Tillier col quale ebbe una serena e felice relazione fino alla fine. Anche le amicizie femminili erano tutte legate al mondo del tennis ed ebbero una grande importanza per Suzanne, a volte  forse più dei suoi amori. Lacoste diceva di lei “era un’ottima amica, una donna priva di invidie”. Kitty McCane, fu per lei una sua cara amica. Inglese, dacché la conobbe a Londra nel 1914  nutrì sempre una smodata ammirazione per lei. Kitty era rimasta affascinata da Suzanne per il suo essere sempre apertamente e naturalmente controcorrente, per il suo modo di giocare, di muoversi, “insomma di esistere”. Nonostante fosse anch’essa una campionessa olimpica e a Wimbledon – la migliore in assenza di Suzanne a detta di tutti – Kitty  riuscì a battere la francese solo una volta perché Suzanne “quando era necessario non sbagliava una palla”. Fu addirittura inseparabile da Julie Vlasto detta Diddie, sua compagna di doppio e di avventure ma soprattutto confidente, forse l’unica a cui Suzanne aprì il suo cuore, sempre. A Diddie, ereditiera dei Vlasto, Suzanne dispensò gli insegnamenti di papà Charles e addirittura si allenò con lei. Il loro rapporto fu indissolubilmente legato e fortificato dal tennis. “Avevamo – dice Diddie – gli stessi interessi per la vita, il teatro, i libri e la moda”. I suoi rapporti con Diddie erano talmente intimi che qualcuno ha creduto di intuirvi, anche in seguito a supposti diari rinvenuti e pagine incollate, qualcosa in più che una semplice amicizia. Quando Diddie si trasferì in Grecia le due continuarono la loro amicizia attraverso lunghe lettere in cui si scrivevano la nostalgia che avevano l’una dell’altra.

 

LA SALUTE

La salute fu sempre la sua nota dolente e segnò il suo destino dagli esordi. Dapprima la morte prematura del fratello che sensibilizzò oltremodo i genitori nei suoi confronti. La sua natura cagionevole stessa portò il padre a instradarla al tennis. Ci furono poi diversi episodi che segnarono duramente la sua vita tennistica. Nel 1921 quando fece la traversata per gli Stati Uniti contro il parere del padre, ebbe problemi di pertosse che segnarono il suo risultato sportivo e la sua anima. Nel 1924 non poté partecipare ai Championships a Londra a causa di problemi  di asma che la bloccarono a letto, e anche a Cannes, nel “match del secolo”, aveva accusato strani malori sui quali spesso però si malignò.

 

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IL CORAGGIO

Di coraggio la nostra Suzanne in effetti ne ostentava e in alcuni casi ne aveva a bizzeffe. In realtà costretta com’era a riconfermare continuamente se stessa,  il suo essere campionessa e la sua supremazia, lo cercava continuamente dentro di sé, nei suoi rapporti amorosi, nelle amicizie, che erano le sole a intuire la sua fragilità  al di fuori del personaggio e della tennista. “L’agitazione di Suzanne non ha limiti, e nasconde, credo, un vuoto ogni volta più profondo nel suo cuore”, scriveva Gentien a Diddie nel 1933. Diceva di lei Billie Jean King: “si nutre più dell’odio per la sconfitta che dell’amore per la vittoria”. Suzanne, in realtà, aveva una paura folle di perdere la sua supremazia agli occhi del mondo e delle nuove leve del tennis femminile. Perciò cercava a volte di vivere di rendita sui successi ottenuti prendendosi delle lunghe pause fra una competizione e l’altra. Pause che comunque le placavano le paure e la rimettevano in sesto fisicamente e mentalmente. Pause in cui Suzanne assaggiava un po’ di quella vita che a causa del tennis non poteva vivere appieno. Sul letto di morte, ormai divenuta cieca a causa della leucemia e terrorizzata, ancora ostentava coraggio e faceva battute sulla sua condizione. Tutto ciò la rendeva sola, nonostante fosse sempre stata vezzeggiata e attorniata da folle sul campo da tennis e fuori. Coraggiosamente e esageratamente, così Suzanne visse la sua vita, come nel “Match del Secolo”, il suo ultimo match da dilettante, nel Febbraio 1926 contro la ventenne Helen Wills, dove si presentò avvolta in un mantello bianco bordato di pelo. Suzanne lo vinse 63 86  a fatica contro una giocatrice più giovane e fisicamente più forte di lei. Il Carlton Club di Cannes raccolse 4 mila spettatori e i biglietti costarono 22 volte il prezzo per la finale di Wimbledon. Disse di lei Borotra in quell’occasione: “Non avevano capito che sotto la vedette c’era una tigre e una grande atleta”. Suzanne visse dunque con le sue paure e il suo coraggio, sola, nella ricerca di una palla in più, di una ragione in più. E quella ragione era ancora il tennis. Spese infatti gli ultimi giorni della sua vita come allenatrice nella scuola tennis che aveva fondato a Parigi, finché non sopraggiunse la leucemia. La salute ancora una volta la tradì e alla giovane età di 39 anni Suzanne lasciò questo mondo, semmai a questo mondo fosse mai appartenuta.  

 

Articolo di Anna Lamarina — annalamarina66@gmail.com

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Author: Tennis Olistico

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